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MOBBING PERSECUTORIO: dal verbo inglese “to mob”, attaccare, assaltare






MOBBING E ABUSI: la pratica dell’insana persecuzione (dal verbo inglese “to mob”: attaccare, assaltare) 



Sociologi e medici specializzati nello studio dei complessi e vari problemi del mondo del lavoro studiano uno strano e sconcertante fenomeno: il Mobbing, la pratica dell’insana persecuzione, ai danni di inconsapevoli lavoratori.

Il termine inglese potrebbe far pensare ad una nuova moda o ad uno sport estremo. Nulla di tutto ciò.

Il Mobbing (dal verbo inglese “to mob”: attaccare, assaltare) designa in etologia il comportamento di alcune specie animali, solite circondare un membro del gruppo per allontanarlo.



Marzo  2018 | Avvocato Gabriella Filippone |
Rassegna e commenti notizie on line
Articolo a cura di Gabriella Filippone  


Il termine designa nell’ambito del lavoro, all’interno delle aziende, quei ripetuti soprusi diretti in particolare ad isolare il dipendente e nei casi più gravi ad espellerlo; pratiche il cui effetto è quello di intaccare gravemente l’equilibrio psichico del prestatore, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in sé stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e talora suicidio.

Il Mobbing può distinguersi in “orizzontale” e “verticale”, a seconda che i comportamenti ostili siano posti in essere dai colleghi o dai superiori.

La figura del Mobber viene impersonata all’interno delle aziende e dei luoghi di lavoro in genere, da un capo, da un collega o da un altro personaggio di per sé insignificante, i quali, in modo subdolo e nascosto, agiscono, senza una ragione apparente, all’interno della comunità dei lavoratori, per sottoporre a continua persecuzione, un lavoratore ignaro inconsapevole delle manovre perpetrate ai suoi danni.

L’accertamento diagnostico si rende ancor più difficile e incerto quando la pratica del Mobbing viene perpetuata da soggetti insospettabili, apparentemente amici e compagni di lavoro delle stesse vittime, come il vicino di scrivania, altrimenti da un personaggio insignificante e distante.

Caratteristica comune alle tipologie di Mobber sarebbe l’apparente indifferenza di tali soggetti nei confronti di quanto accade nel posto di lavoro, mentre intensa e continua, permane la loro propensione alla maldicenza, al gusto di creare situazioni paradossali tra compagni di lavoro, annientando la personalità di qualcuno di essi: questo “qualcuno” è appunto, la vittima.


I lavoratori mobbizzati sono veramente malati o sono malati, al contrario, i loro persecutori? Sorge il sospetto che il vero malato sia proprio il Mobber; tale personaggio però sfugge, mentre la vittima si ammala, perde giorni di lavoro, soffre di patologie mai prima accusate.


In un intervento di Luigi Orsini, pubblicato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Pescara, sulla rivista di giurisprudenza PQM n.II/99, si è fatto il punto sull’indagine svolta da medici e sociologi del lavoro e sull’orientamento giurisprudenziale e legislativo; sono stati illustrati i punti sostanziali di uno studio esposto nell’Università di Teramo, per la Scuola di specializzazione in diritto del lavoro, dal Prof. Michele La Rosa in cui si evidenziano i risultati statistici di indagini condotte in vari Stati dell’Unione Europea: nel 1998, oltre 12 milioni di lavoratori –cioè oltre l’8,1% dei lavoratori dell’Unione– certamente sono stati individuati come vittime del Mobbing; in tale quadro, in Italia, vanno compresi circa 1 milione di lavoratori tra i soggetti sottoposti a Mobbing, cioè il 5% della forza lavoro.

Le considerazioni svolte consentono di ritenere gli effetti del Mobbing come un aspetto socialmente rilevante nel mondo del lavoro e nell’intero quadro della vita economica e produttiva del nostro Paese. Invero ogni giorno, non si sa perché, molti lavoratori si ammalano, molti altri non sono in grado di produrre, altri cercano la via delle dimissioni, così risolvendo unilateralmente un rapporto di lavoro che è diventato assurdo, faticoso, ossessivo.

Gli studiosi ci avvertono che il Mobbing entra nelle varie realtà del mondo del lavoro, come un virus sconosciuto, che danneggia l’attività produttiva nei suoi due aspetti essenziali della quantità dei beni prodotti o dei servizi e della qualità dei medesimi: ciò perché esso attacca la sanità fisica e mentale dei lavoratori, i quali, quando sono fortunati si accorgono molto presto dell’origine dei loro mali e reagiscono ad essi per tempo, magari cercando un altro lavoro prima che sia troppo tardi, quando sono meno fortunati giungono all’abbandono del lavoro, mediante dimissioni incondizionate o addirittura tentano il suicidio.

Sociologi e medici del lavoro, gli specialisti impegnati in tale campo nuovo e cosparso di insidie, meditano sui risultati accertati, per poter giungere a schemi di diagnosi precoci, essendo certi che il male, se lasciato alla sua voracità distruttiva, conduce a patologie irreversibili.

In questo quadro, si evidenziano taluni risultati della ricerca medico - sociologica che riconducono alla pratica del Mobbing.

La diagnosi dei sintomi dei mali procurati al lavoratore è difficile ed incerta, spesso i disturbi attengono a mali comuni (come frequenti mal di testa, ulcere, dermatosi, tachicardia o malesseri vari accusati dal paziente quali mal di schiena, nausee e così via).

Quando il paziente è un lavoratore, che vive il proprio impegno di lavoro in una realtà aziendale dove vi sono tanti lavoratori, allora il diagnostico, medico o psicologo, deve esaminare anche altre sindromi denunziate dal paziente: perdita di memoria, insonnia, ansia, panico, depressione e così via.

La diagnosi precoce, essenziale in questi casi, va costruita con l’aiuto del paziente: trattandosi però di un sospetto di Mobbing, il medico chiamato ad accertare la causa di un mal di testa persistente o di un mal di schiena o di insonnia quasi irreversibile, deve ricondurre il sospetto sul piano lavorativo del paziente; questi sintomi ed altri – a volte estremamente soggettivi – nel quadro completo della vita di un lavoratore, di un impiegato, di un dipendente, possono condurre alla scoperta del Mobbing.

Colui che pratica la manovra del Mobbing, a danno della salute fisica e psichica del lavoratore, è individuabile per atteggiamenti che non sfuggono e che delineano comportamenti da affrontare con decisione.

Le diagnosi sul persecutore: si ritiene che costui possa essere un megalomane (individuo che crede di essere ciò che non è), oppure un frustrato (individuo ossessionato da proprie carenze e che cerca di scaricarne su altri i mortificanti effetti), ovvero un narcisista (indicato come “narcisista perverso”); la figura del narcisista è la più diffusa.


Caratteristiche costanti in talune figure di Mobber: – trattasi, spesso, del capoufficio (o semplicemente capo), del caporeparto, del dirigente, del “caposquadra”, di un incaricato dell’organizzazione aziendale che non vi riesce e tenta di scaricare la propria incapacità sugli altri, ritrovando nella sofferenza altrui una parvenza di equilibrio del proprio essere; – trattasi spesso di personaggi che non vivono una propria vita lineare, non se ne sentono protagonisti ed avvertono interiormente un conflitto tra ciò che sono e ciò che vorrebbero essere: il cui conflitto non sfocia in una decisione di superamento del proprio stato, in quanto comporterebbe tutta la propria buona volontà necessaria per salire in alto o per restare sereni nella stessa posizione.

E’ indubbio che tutte le situazioni di tale complessità psichica generano dolore. Tale dolore, quando viene avvertito dal soggetto sotto forma di disagio, può e deve rientrare nel normale svolgimento della vita.

Quando il dolore non viene avvertito, neanche come disagio, l’individuo diventa persecutore, maldicente, pronto ad usare tutte le astuzie per veder soffrire un altro individuo, diventa Mobber: ordisce la pratica del “transfert” del dolore, dell’inferiorità intimamente riconosciuta dalla sua subcoscienza. L’attuazione, quando riesce, del “transfert” in parola, comporta la presenza di due soggetti: il soggetto portatore originario della propria incapacità di vivere e del conseguente connesso “dolore” e il soggetto cui il dolore si trasferisce, nelle forme più varie, tutte riconducibili al Mobbing, che è persecuzione e tortura: la vittima si ammala e non sa il perché.


La letteratura in materia è ancora scarna, in assenza di studi definitivi e certi che espongano scientificamente le patologie del Mobbing, esistono risultati statistici, ottenuti con rigore scientifico, che rappresentano un primo supporto teorico per l’individuazione di un caso di Mobbing.

La diagnosi non basta, occorre la terapia per guarire i mali che il Mobbing arreca alla salute del lavoratore che ne è vittima: la terapia possibile è quella di rimuovere la figura del Mobber dalla sua posizione subdola rendendolo innocuo; affrontare il persecutore per riportarlo alla realtà. L’opinione prevalente è che la tematica debba essere urgentemente esaminata dal Legislatore, discoprendosi nei comportamenti del Mobber, senza dubbio, un allarme sociale di enorme gravità. Gli studiosi del fenomeno ritengono che al di là della diagnosi del medico o dello psicologo, la pratica del Mobbing vada guardata nell’ambito delle norme del nostro Ordinamento penale che prevedono la tutela della persona umana e della sua salute.

Sul tema ancora molta strada dovranno percorrere gli operatori del diritto; si apre una prospettiva di indagini e di interventi per il sindacato, che opera in prima linea sul posto di lavoro. Il Legislatore, nel 1970 ha posto in gran rilievo la sanità psicofisica dei lavoratori: nellolo Statuto dei lavoratori è sancito il principio che il sindacato tramite le proprie strutture organizzative, può e deve attivarsi, in ogni possibile realtà lavorativa, per la sanità psicofisica dei lavoratori.


La giurisprudenza traccia sentieri percorribili per una individuazione di responsabilità del datore di lavoro, in ordine all’obbligo di risarcimento dei danni sofferti dal lavoratore in connessione e a causa di eventi verificatisi nel posto di lavoro e che abbiano cagionato nocumenti, a volte irreparabili, alla persona fisica del lavoratore ed alla sua psiche; dalla giurisprudenza formatasi su tale norma si riconducono situazioni e condizioni di lavoro che sottopongono il lavoratore al trauma del Mobbing.

La magistratura si sofferma sull’indagine delle condizioni ambientali e psicologiche che caratterizzano il posto di lavoro nella sua complessità, non solo sotto il profilo materiale –azienda, infrastrutture, condizioni climatiche e così via – anche sotto il profilo della serenità dei rapporti tra datore e lavoratore, facendosi riferimento ai rapporti interpersonali; della serenità dei rapporti personali tra i lavoratori, prescindendosi dalle mansioni che svolgono per ragioni di organizzazione tecnica della produzione.

L’orientamento della giurisprudenza del lavoro si incentra sull’esame dell’art.2087 cod. civile ( Tutela delle condizioni di lavoro), che attiene all’obbligo del datore di lavoro di tutelare “l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”: quindi ad impedire e scoraggiare con efficacia contegni aggressivi e vessatori da parte di preposti e responsabili nei confronti dei rispettivi sottoposti.

Le strade sono già tracciate in tante decisioni dalla giurisprudenza, anche se riferite a situazioni in cui non si evidenzia in modo specifico la pratica del Mobbing, se ne indicano due tra le più significative: una della giurisprudenza di merito del 1998, Tribunale di Milano: “risponde di illecito contrattuale ex art.2087 c. c. e quindi con esclusione del danno morale, il datore di lavoro che, pur informato degli atti di molestia, non provveda alla tutela del dipendente molestato …”; l’altra della Cassazione Civile Sez. Lavoro n.8422/1997: “la disposizione di cui all’art.2087 c. c. rappresenta una norma di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente previste dal Legislatore ed impone al datore di lavoro l’obbligo di tutelare l’integrità psicofisica dei dipendenti …”, sia in base al rilievo costituzionale del diritto alla salute, sia dei principi di correttezza e buona fede contrattuale.

Il Tribunale di Torino, con sentenza del 16.11.99 ha stabilito che il datore di lavoro è chiamato a rispondere del risarcimento del danno sofferto (sia biologico sia da dequalificazione professionale) da liquidarsi in via equitativa, oltre interessi legali. La sentenza pone  conseguenze pesanti volte a colpire duramente i colpevoli diretti, nonché i superiori che fingessero di non vedere.

Come contrastare il Mobbing. Il primo consiglio è armarsi di pazienza e raccogliere le prove (testimonianze, dichiarazioni scritte, ecc.) delle vessazioni subite ed in atto.



Bibliografia e riferimenti: – “Interventi. “Mobbing. Abusi nel posto di lavoro” di Luigi Orsini, intervento pubblicato sulla rivista di giurisprudenza PQM n.II/98. – “Rapporti di lavoro. Siete affetti da mobbing?” articolo di Mario Gallotta pubblicato sulla rivista Bollettino del Lavoro 





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«La differenza tra le persone sta solo nel loro avere maggiore o minore accesso alla conoscenza» (Lev Tolstoj)

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