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Cassazione: il GayPride è un evento lecito e privo di negatività

avvocato Gabriella Filippone : Cassazione: il GayPride è un evento lecito e privo di negatività

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 settembre – 24 ottobre 2013, n. 24110

Fonte immagine:http://roma.corriere.it/gallery/roma/06-2013/pride/roma/-gay-pride-2013-colori-orgoglio-vogliamo-diritti_13db5236-d5c9-11e2-becd-8fd8278f5bec.shtml?title=(Foto%20Jpeg)%26pos=6


Un evento come il gay pride, unitamente al costume sessuale che esso rappresenta, è in sé del tutto lecito e privo di qualsivoglia profilo di intrinseca negatività, come invece sembra adombrare il ricorrente, sia pure tra le righe dell’odierna impugnazione, laddove evoca l’onore ed il decoro della persona.



Svolgimento del processo 
1. Con sentenza del 28 gennaio 2004 il Tribunale di Roma, condannava la RAI - Radiotelevisione italiana s.p.a. a pagare all’attore C. la somma di euro 20.658,28 oltre le spese, a titolo di risarcimento danni per la divulgazione non autorizzata della sua immagine - ripresa durante la partenza dalla Stazione centrale di Milano di numerosi partecipanti alla manifestazione del gay pride, tenutasi a Roma nel giugno 2000 - messa in onda nella trasmissione televisiva Sciuscià sempre nello stesso anno 2000.  
2. La Rai proponeva appello avverso la sentenza di primo grado e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 30 luglio 2007 (in riforma di quella del Tribunale), accoglieva l’appello principale, e  rigettava le domande risarcitorie e contestualmente condannava il C. alla restituzione della somma di euro 29.126,32, e compensava integralmente le spese del doppio grado di giudizio. 
 La Corte d'appello rilevava che il gay pride costituiva un evento pubblico di sicura risonanza mediatica, e che il diritto di cronaca della RAI era stato legittimamente esercitato ed ammesso che il C. fosse stato tra le persone oggetto della ripresa televisiva, egli non era facilmente individuabile «tra la folla anonima dei passeggeri della stazione», i quali facevano «solo da sfondo generico al servizio televisivo di cui trattasi».


Altra considerazione della Corte: non c’era alcuna prova che il C., una volta accortosi della ripresa filmata, avesse immediatamente espresso il suo dissenso alla divulgazione. 
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma, il C. propone ricorso per cassazione, con atto contenente quattro motivi; resiste la RAI - Radiotelevisione italiana s.p.a. con controricorso. 

Motivi della decisione.  

Col secondo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 97, primo comma, della legge 22 aprile 1941, n. 633, oltre ad omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. 
Il ricorrente rileva che la sentenza impugnata ha affermato la natura di evento di rilevanza mediatica del gay pride, così giustificando la mancanza del consenso del C. alla divulgazione della propria immagine. L'affermazione non sarebbe stato motivata a sufficienza: la Corte di merito avrebbe dovuto specificare le ragioni per le quali, anche ammettendo la natura di evento pubblico del gay pride, tale connotato potesse essere esteso alle riprese avvenute alla stazione di Milano, luogo estraneo alla manifestazione. 
 Col terzo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 96 della legge n. 633 del 1941. La Corte d’appello avrebbe errato nell’affermare che il soggetto ripreso da una troupe televisiva debba provare in giudizio di aver manifestato il proprio dissenso alla ripresa medesima. La ripresa televisiva, infatti, a differenza di quella prevista dal citato art. 96, può avvenire anche senza che l’interessato ne abbia alcuna consapevolezza.
 Per i giudici di Cassazione entrambi i motivi sono privi di fondamento, in quanto la sentenza impugnata si basa su: la mancata identificazione del C., la cui presenza nella stazione di Milano - ammesso che di lui si trattasse - non era facilmente individuabile «tra la folla anonima dei passeggeri della stazione»; il carattere pubblico della manifestazione del gay pride, la cui rilevanza mediatica ne giustificava la divulgazione attraverso la televisione, eventualmente anche in violazione del diritto alla riproduzione dell’immagine tutelato dall’art. 97, primo comma, della legge n. 633 del 1941.  

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha più volte  affermato e ribadito che "l’esposizione o la pubblicazione dell’immagine altrui non può considerarsi abusiva quando si ricolleghi a fatti, avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico", in conformità a quanto disposto dal menzionato art. 97, primo comma, della legge n. 633 del 1941 (sentenza 29 settembre 2006, n. 21172, e 11 maggio 2010, n. 11393). 
La Corte quindi  valuta se - senza sostanziali contestazioni da parte del ricorrente - la natura di evento di rilevanza pubblica del gay pride tenutasi a Roma nel giugno 2000 - possa essere riconosciuta anche al momento precedente del raduno dei partecipanti alla stazione di Milano per prendere il treno per Roma e partecipare alla manifestazione stessa. 
Per il Collegio il concetto di avvenimento o cerimonia di interesse pubblico non va inteso in senso così restrittivo da escludere tutto ciò che non attiene in via immediata e diretta all’evento stesso; in altre parole, la cerimonia o l’avvenimento non sono soltanto l’evento assunto nella sua limitata dimensione spazio-temporale, vanno ricompresi nella previsione legislativa anche quegli episodi che, pur non integrando in sé l’evento, ad esso si ricolleghino in modo inequivocabile.
Pur svolgendosi la manifestazione a Roma, il radunarsi nella stazione centrale di Milano di una folla di persone pronte a partire allo scopo di partecipare all’evento stesso, data l’evidenza e l’immediatezza del collegamento, è un fatto di rilevanza mediatica che integra gli estremi di cui all’art. 97, primo comma, della legge n. 633 del 1941, legittimando la riproduzione dell’immagine anche in assenza del consenso della persona interessata

Respinta pertanto dalla Corte la censura di violazione di legge di cui al secondo motivo di ricorso in quanto il riconoscimento della natura di evento di rilevanza pubblica del raduno alla stazione di Milano toglie ogni fondamento alla censura; la sentenza impugnata, con motivazione in fatto correttamente argomentata e, perciò, insindacabile in Cassazione, ha riconosciuto che la ripresa televisiva riguardava una folla «anonima ». 

Il rigetto del secondo motivo conduce al conseguente rigetto anche del terzo, in quanto  non ha fondamento la censura centrata sul problema della mancanza del consenso alla diffusione della propria immagine o della impossibilità per il C. di manifestare il proprio dissenso. 
Riconosciuta la valenza di evento mediatico al raduno della folla all’interno della stazione di Milano cade ogni presunta lesione dell’art. 96 della legge n. 633 del 1941, dovendosi ricomprendere l’episodio nell’ambito del successivo art. 97, primo comma, per cui non riveste alcun interesse il profilo della mancanza del consenso. 
Col quarto motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 97 della legge n. 633 del 1941 ed omessa ed insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia. 
Il ricorrente richiama l’art. 97, secondo comma, della legge n. 633 del 1941, per il quale l’immagine della persona non può essere esposta o messa in commercio quando da tale evento derivi pregiudizio all’onore o al decoro della medesima.

 Il C. dichiara di aver chiesto alla Corte d’appello di pronunciarsi sull’illegittimità della diffusione della sua immagine, in quanto inserita in un contesto che gli è estraneo. Anche considerando il gay pride un evento di rilevanza pubblica, è noto che in manifestazioni del genere i partecipanti sono soliti esibire i loro costumi sessuali in modo plateale e volutamente esagerato; la ripresa televisiva oggetto di causa, pertanto, avrebbe collocato abusivamente l’immagine del ricorrente in un contesto che esprime un costume ed un’identità che a lui non appartengono; su tale aspetto della vicenda il giudice di merito avrebbe completamente omesso di pronunciarsi. 

Per gli ermellini il motivo non è fondato, la  Corte d’appello non è affatto incorsa in un’omissione, avendo nella sostanza affrontato il problema posto dal ricorrente. 
Un interesse pubblico alla divulgazione dell’immagine (art. 97, primo comma, cit.) non esclude che tale diffusione possa essere ugualmente lesiva dell’onore e del decoro della persona (art. 97, secondo comma) e dare luogo ad una pretesa risarcitoria. Nel caso esaminato, la sentenza motiva, con un accertamento di fatto non più sindacabile in sede di Cassazione,  che al limite il C. sarebbe stato ripreso per brevissimo tempo in mezzo ad una folla anonima di passeggeri, la quale faceva solo da «generico sfondo» del contestato servizio televisivo.
 “È rimasto del tutto indimostrato ... che la ripresa televisiva ove pure abbia avuto per destinatario anche il ricorrente - sia avvenuta con modalità lesive della sua dignità e/o sia stata associata ad un evento e ad un costume sessuale a lui estraneo”. 
Un evento come il gay pride, unitamente al costume sessuale che esso rappresenta, è in sé del tutto lecito e privo di qualsivoglia profilo di intrinseca negatività, come invece sembra adombrare il ricorrente, sia pure tra le righe dell’odierna impugnazione, laddove evoca l’onore ed il decoro della persona.” 
Fa osservare la Corte che se il C. avesse preso parte attivamente alla manifestazione - nel senso che anch’egli era fra coloro i quali stavano partendo per Roma - non potrebbe comunque dolersi della ripresa televisiva. Se, invece, egli si trovava casualmente all’interno della stazione di Milano, senza alcun contatto con i manifestanti, l’eventuale ripresa televisiva non potrebbe danneggiarlo, non essendo inequivocabilmente collegabile la sua presenza fisica con la partecipazione al gay pride. 

Il concetto di riservatezza - inteso come tutela del diritto a non vedere indebitamente diffusa la propria immagine - non può porsi nell’ambito di una stazione ferroviaria negli stessi termini in cui si pone in un contesto privato. Chi si reca in una stazione, anche solo di passaggio, o per prendere un treno o per svolgere proprie incombenze private deve accettare il rischio di poter essere astrattamente individuato nella folla dei passeggeri”.
Per la Corte non sussistono quindi gli estremi idonei a giustificare, ai sensi dell’art. 97, secondo comma, della legge n. 633 del 1941, una pretesa risarcitoria. 

L’esame del primo motivo di ricorso: rileva la parte ricorrente che l’art. 2712 cod. civ. dispone che le riproduzioni fotografiche e cinematografiche fanno piena prova di quanto rappresentato se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. La RAI, nel costituirsi in primo grado, non ha disconosciuto la conformità all’originale di quanto rappresentanto in foto, per cui, in assenza di specifiche contestazioni dirette a censurare la non conformità al vero delle prove documentali e fotografiche, sia la fotografia che la ripresa video farebbero, secondo il ricorrente, piena prova di quanto in esse rappresentato. 
Per la Corte  il motivo  riassunto può ritenersi assorbito dal rigetto dei precedenti: ogni discussione circa l’interpretazione dell’art. 2712 cod. civ. e le modalità del disconoscimento delle fotografie è superato dal riconoscimento della piena legittimità della diffusione dell’immagine
Il ricorso è stato così rigettato, con condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità; disponendo, in relazione alla pubblicazione della sentenza, l’oscuramento dei dati sensibili, a tutela della riservatezza del ricorrente. 


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