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La legge è diseguale con le diverse categorie di lavoratori/disoccupati

GABRIELLA FILIPPONE

IL NOSTRO BEL PAESE E' STRANO (non mi sto riferendo ad un noto formaggio da tavola)


Immagine | Bandiera italiana | via flickr

Dal 25 marzo 2015  è consentito ai disoccupati che riescono a trovare un nuovo lavoro di non dover rinunciare all'ASPI. 

La novità sta nel fatto che sarà consentito cumulare l'indennità di disoccupazione con un nuovo reddito di lavoro. Due le condizioni: che si tratti di reddito di lavoro  dipendente  e che questo non superi gli 8.000 euro annui.

Ha così chiarito l'INPS,  rielaborando la disciplina dell’indennità di disoccupazione (Aspi e mini-Aspi), a seguito della reintroduzione del requisito reddituale per il riconoscimento dello status di disoccupato.

La legge garantisce la conservazione dello stato di disoccupazione  quando l'attività lavorativa svolta assicura un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione: reddito  di 8.000 euro annui (in caso di lavoro autonomo o collaborazione il limite di reddito è di 4.800 euro annui).
 Vedi sull'argomento:  "Aspi: ora si può lavorare e percepire l’indennità di disoccupazione" | La legge per tutti



Ad un avvocato con reddito inferiore a 8 mila euro è invece "CONCESSO" (magnanimi lor signori concessori)  di pagare contributi annui previdenziali in misura variabile - a seconda dell'anzianità di iscrizione a Cassa Forense - tra gli 850 e i 3.800 euro circa.                        

Non basta, se "l'avvocatino" non riuscirà a versare i suoi contributi, il ministero della Giustizia e C F (di concerto) saranno pronti a cancellarlo dall'albo avvocati e renderlo disoccupato ad ogni effetto di legge.
Tutto ciò sarà conseguenziale se non riuscirà a trovare un altro lavoro che non sia a perdere e non comporti pesanti oneri di ingresso e di permanenza come fa di fatto C F.
                                                                                                                                                                                                       
In questi frangenti lavorativi o "disoccupativi" tutti i cittadini sono diseguali davanti alle pretese impositive statali, specie se non sei un dipendente pubblico o privato, e se non hai un valido sindacato o altro che ti rappresenti.

                                                                                                                                                                                                       




Dovrebbero scindere l'avvocatura: ricchi, potenti, prestigiosi, fascinosi (o ogni altro aggettivo di loro gradimento in cui si riconoscano) "principi del foro" da una parte e diversamente nobili dall'altra. Io mi metto tra i diversamente titolati. Dovrebbero stabilire eque forme contributive a secondo del range di appartenenza, invece di vessarci come fanno.




"CORRIGETEMI SE SBAGLIO"  disse, non molti anni orsono, un santo uomo, a noi tutti noto. 


Lo chiedo anch'io, anzi Vi prego dimostratemi che ho capito male e che il nostro  Stato "galantuomo" garantisce anche i professionisti ed i lavoratori autonomi,  o che se non li vuol aiutare (magari allo Stato siamo antipatici, che ne possiamo sapere noi?) quantomeno evita di vessarli. 










Rassegna News Giuridiche by Avv. Gabriella Filippone    
Gabriella Filippone Blog






Commenti

  1. A mio parere ciò che manca da sempre è l'unità dei giovani avvocati.
    Non tutti sono contrari all'introduzione dei contributi obbligatori. Una buona parte gradisce la novità normativa perché da sempre, lavorando come dipendente di fatto per i rispettivi 'domini', percepisce un salario minimo con cui paga anche i contributi previdenziali, con l'auspicio di ottenere poi un assegno di pensione. La situazione di disagio che ne deriva e, in fondo, di svilimento della propria persona, viene d'altronde giustificata col fatto di continuare, in fondo, a fare il mestiere per cui si è molto studiato. Perché allora altri dovrebbero essere esonerati da accettare un simile stato di cose? Un'alternativa possibile alla consuetudine invalsa non viene neppure messa in conto.
    Questo è un ragionamento che noto essere diffuso tra i giovani avvocati.
    Io, da parte mia, non sono d'accordo, perché è il titolare del diritto fondamentale che deve prima prendere coscienza della sua importanza; ma la situazione attuale è il riflesso di quello che sta avvenendo nella società italiana: ignavia, sconforto, mors tua vita mea, e anche inettitudine.
    E' quindi naturale che così stando le cose i forti saranno sempre più forti.
    Non pratico la professione perché, tra le altre cose, mi manca la passione. Però mi dispiace molto che altri, che invece la passione ce l'avrebbero, siano impediti da ostacoli a volte insormontabili.

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  2. Non mi risultano avvocati (io lo sono), giovani o meno, favorevoli a pagare quasi 4000 euro all'anno indipendentemente se hanno guadagnato o meno nell'anno precedente! A meno di supporre (mai sentita una cosa del genere!) che chi "collabora" con i titolari dei grandi Studi Legali non sia da questi "stipendiato" (nel vero senso del termine!) ed anche in maniera tanto adeguata da poter spensieratamente versare i predetti 4000 euro a cassa forense (lo ripeto, anche se non ha guadagnato nulla nell'anno precedente!). La incostituzionalità della legge 247/12 e del relativo regolamento di cassa forense, sono palesi: per poter, bene o male, continuare a fare gli avvocati bisogna pagare, tanto e comunque. Nessun altra categoria di lavoratori è tanto bistrattata e destinataria di una serie di provvedimenti tesi soltanto a decimarla (la 247/12 è ormai nota come "legge di bonifica degli albi"). E' in pratica come se l'inps cominciasse "comunque" ad esigere il versamento dei contributi previdenziali anche da parte dei lavoratori che hanno perso il lavoro o che non l'hanno mai avuto o che sono cassaintegrati, cioè da parte di chi non ha un reddito da lavoro o ne ha uno davvero esiguo. La ratio di tutto ciò? A parte la necessità di salvaguardare le povere casse della gestione separata dell'Inps, di fondo c'era (e c'è!) l'esigenza di sfoltire gli albi. Altrove si sarebbe provveduto razionalmente alla "fonte", cioè rendendo "difficoltoso" l'accesso agli albi (ad esempio estendendo il praticantato o bandendo l'esame per posti prestabiliti, come accade già per i notai che si abilitano con un vero e proprio concorso pubblico con tanto di numero di posti), in Italia invece no: si sono cambiate all'improvviso le regole del gioco, ed insomma....."arraggiantevi" (soprattutto gli avvocati non più giovanissimi e quindi impossibilitati a ricollocarsi altrove). E pensare che l'avvocatura, il diritto alla difesa, è l'unica professione di cui parla la vigente Costituzione della Repubblica (Italiana).

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